Da quando alla condizione di viaggiatrice si è aggiunta quella di mamma, ho sempre pensato che un giorno avrei portato i miei figli a vedere dove si è svolta la storia.
Certo, non proprio tutta, ma buona parte di essa dal momento che viviamo nel vecchio mondo e che, con buona pace delle terre più nuove e che mi affascinano sempre, è qui che l'uomo ha lasciato maggiori testimonianze del passato.
Per questo, dopo aver riso non poco per il nome che tra l'altro lo colloca originariamente come sito bizantino, iniziamo con una visita al sito romano di Pupput, non lontano dal centro di Hammamet ma disertato dagli stracolmi autobus dei tour organizzati, figuriamoci dagli altri. A dire il vero anche in famiglia eravamo un po' scettici e, se non fossimo proprio in vacanza qui, dubito che avremmo fatto chilometri per vederlo.
Sul tardi ci presentiamo al cancello svegliando le due guardie placidamente abbioccate sotto un albero; ai piedi un enorme coltello che subito uno dei due fa sparire dicendo che avevano dovuto tagliare un cocomero... Paghiamo una spicciolata di dinari ed entriamo in quello che sembra un enorme campo di sterpaglie. Eppure un tempo questo insediamento offriva cibo e riparo a chi percorreva la strada romana che da Cartagine giungeva a Hadrumetum, l'odierna Sousse.
Oggi è possibile ammirare molti mosaici che, nonostante l'incuria in cui versa il sito, conservano ancora la loro bellezza, anche se qualche sciagurato pensa che camminarci sopra o portarne via un pezzetto sia consentito solo perché non c'è un recinto elettrificato intorno.
Oltre a questo ci sono dei pavimenti a mosaico ben conservati e alcune delle colonne che reggevano la Casa del Peristilio Decorato, risalente al V secolo. Più in là, resti di mura sgretolate lasciano intuire com'erano fatte le case del tempo; mentre sul muro di cinta sono conservate alcune lapidi funerarie dell'epoca bizantina.
Questo sito considerato insignificante e in balia dell'esuberanza della natura e dell'incuria dell'uomo, ha però avuto il merito di risvegliare in noi appetiti storici sopiti, che il giorno dopo cerchiamo di soddisfare acquistando un biglietto a ingresso multiplo per Cartagine.
In un'ora di autostrada comoda e veloce, da Hammamet si raggiunge Tunisi, quindi si prosegue su un'ampia superstrada fino all'uscita per Cartagine. La città fondata dai Fenici sorge prevedibilmente lungo la costa, su un promontorio che le dà accesso al mare su tre lati e con vicino un lago un tempo collegato al Mediterraneo.
Come è facile intuire, questa posizione così strategica era mal vista dall'antagonista per eccellenza, Roma. E quando i romani guidati da Scipione l'Africano vinsero la terza guerra romano-punica, seguirono il diktat del conquista e radi al suolo tanto caro e, se ci pensate bene, sempre molto in voga tra i colonizzatori di tutti i tempi.
Dopo aver fatto prigionieri e morti, la leggenda narra che i romani tracciarono profondi solchi, cosparsero il suolo della città di sale dichiarandola maledetta e andarono via, lasciandola deserta per un secolo. Fu soltanto quarant'anni prima della nascita di Cristo che Giulio Cesare iniziò quell'opera di rifacimento che, in due secoli, ha riportato Cartagine allo splendore, per poi vederla perire di nuovo conquistata dai vandali, recuperata dai bizantini e infine dagli arabi.
Il sito è molto esteso - circa due chilometri separano le estremità - e sarebbe impensabile riuscire a visitarlo senza una macchina a disposizione e con due bambini piccoli; ma anche questo non basta per vedere tutto in un solo giorno, per cui va fatta una scelta. Percorrendo i bei viali che fanno della moderna Cartagine uno dei quartieri più esclusivi di Tunisi, decidiamo di vedere le Terme di Antonino che si trovano proprio sul mare e regalano scorci bellissimi della baia. Francesco si diverte a passare attraverso gli archi che un tempo lontanissimo erano le fondamenta del complesso termale più grande al di fuori di Roma: un vero e proprio labirinto.
Oltre al trittico di sale che dava origine a calidarium, tepidarium e frigidarium, si accedeva alle palestre dove la lotta libera andava per la maggiore. Un tempo c'era anche una piscina sul mare che adesso, purtroppo, possono farvi immaginare soltanto i racconti delle guide turistiche. E per chi crede che i romani non fossero dei compagnoni già a quei tempi, consiglio di visitare il complesso di latrine comuni che gli storici inizialmente credevano fosse un teatro!
In macchina ci spostiamo lungo la costa e raggiungiamo i Porti Punici, costruiti in modo così ingegnoso da aver avuto per secoli il merito della fama di Cartagine come potenza nei commerci e negli scambi. Ci fermiamo a vedere quello di forma circolare, usato per ancorare la flotta militare e senza sbocchi diretti al mare. Il porto era collegato da uno stretto canale a quello commerciale, da cui si poteva prendere il largo. In questo modo i Fenici avevano la visuale sul mare ma non erano immediatamente raggiungibili. Dopo la conquista di Scipione il porto venne interrato e soltanto in seguito recuperato dai romani per offrire riparo alla loro flotta mercantile. Più di duemila anni dopo è diventato il luogo prediletto dai ragazzi del posto armati di canna da pesca.
La zona che mi è piaciuta di più è stata quella delle Ville Patrizie, disposte lungo una collina vista mare. Salendo la strada che conduce alle ville si intuisce lo sfarzo in cui viveva l'élite, soprattutto ammirando la Villa della Voliera, l'edifico più grande e più ricostruito di tutti. Perché purtroppo si tratta di ricostruzioni, che hanno comunque il merito di aver fatto arrivare fino a noi testimonianze importanti di come eravamo.
Lungo la strada che ci riporta alla macchina facciamo una sosta al Teatro Romano, i cui posti a sedere sono originali e potevano ospitare cinquemila spettatori. Peccato che al momento ci sia un palco montato che impedisce una visuale più pura del complesso, ma del resto il sito si presta bene a ospitare manifestazione di rilievo come il Festival Internazionale di Cartagine, in cartellone proprio nel mese di agosto.
A questo punto la stanchezza comincia a farsi sentire e decidiamo che per questa volta basta. Ci sarebbe ancora tanto da vedere, anche se le cose meglio conservate e più importanti sono all'incirca queste. Mi sarebbe piaciuto fare una capatina anche al Santuario di Tophet, dove sono stati trovati resti di neonati e bambini molto piccoli che i cartaginesi offrivano in sacrificio agli dèi. Ma siccome la storia la scrive chi vince, è probabile che i romani abbiano esagerato un po' in quanto non ci sono altre testimonianze in merito a questa orrenda pratica. I cartaginesi dal canto loro hanno sempre affermato che offrissero in sacrificio soltanto bambini nati morti. In ogni caso un popolo che dava la gente in pasto ai leoni per divertimento ha poco da sentenziare, io credo.
Risaliamo in macchina e ho la sensazione di aver fatto qualcosa di bello per i miei figli, soprattutto per quello più grande che quando studierà queste cose a scuola, potrà ricordarsi di aver visto con i suoi occhi una città che è stata così importante. Salvo poi trovarmi da lì a pochi giorni all'ingresso del parco divertimenti Carthageland e sentirlo esclamare: “Oh finalmente! Questa è quella vera!”