Arriviamo ad Ayutthaya dopo appena un paio d'ore di minivan da Bangkok. L'autista ci lascia lungo uno stradone un po' lontano dal centro e là, neanche a dirlo, un paio di ragazzi con i loro tuk-tuk aspettano noi, i polli da spellare. Ormai ci siamo abituati a subire questa specie di estorsione tipica dell'arrivo nei posti nuovi; stiamo al gioco, contrattiamo un poco ma poi accettiamo sapendo di pagare comunque un prezzo spropositato, ma senza alternative non è che ci si possa fare molto.
Il tuk-tuk sfreccia veloce tra le strade deserte se paragonate a quelle della capitale, ci sembra quasi di ricominciare a respirare. Non facciamo neanche in tempo a lasciare gli zaini in albergo che siamo già “sull'isola” ovvero nella parte vecchia della città, circondata dal fiume, che ospita la maggior parte delle maestose rovine di quella che è stata la capitale del Regno del Siam dal 1350 al 1767. Proprio grazie ai tre fiumi che passano di qua, e ai canali costruiti dagli antichi popoli che hanno occupato queste terre per quasi 400 anni, Ayutthaya è stata a lungo una fortezza inespugnabile. Dopo varie guerre con più o meno tutti i popoli confinanti, l'antica capitale si arrese all'assedio birmano durato due anni.
Gironzoliamo tra i prati e i laghetti del parco archeologico che ormai si avvicina l'orario di chiusura e i pochi turisti ancora rimasti spariscono a poco a poco, lasciando tutto per noi lo spettacolo delle antiche rovine che fanno capolino tra il verde, e di piccole cicogne che si avvicinano all'acqua per bere. Tutto si fa ancora più suggestivo quando scende la sera e i templi vengono illuminati.
Ayutthaya si presta molto bene ad essere esplorata in bicicletta e in città ci sono diversi noleggi; alcuni vorranno trattenere il vostro passaporto; a noi non piace tanto lasciarlo e al secondo negozio, dopo aver preso i dati e chiesto dove alloggiamo, non l'hanno voluto in deposito. Certi hanno a disposizione biciclette equipaggiate con un seggiolino per bambini, vale sempre la pena chiedere, come abbiamo fatto noi che partiamo alla scoperta della città su due belle bici una col seggiolino applicato sul portapacchi, e l'altra con l'imbottitura. I thailandesi si fanno in quattro per venire incontro alle esigenze delle famiglie in viaggio con bambini!
La parte vecchia della città è circondata da una pista ciclabile a mattoncini rossi, che in alcuni punti può essere un po' dissestata, ma che comunque permette di girare in sicurezza. Ad ogni modo, a differenza di Bangkok, il traffico qui è molto più contenuto e ci è capitato più di una volta che le macchine si fermassero per farci attraversare; siate comunque prudenti, vige sempre la regola ufficiosa del più grosso ha la precedenza! Col buio sarebbe meglio non girare in bici, soprattutto con bambini piccoli. Per strada ci sono troppi cani a cui si sa, piace inseguire le biciclette abbaiando. Meglio sarebbe salire su uno dei tuk-tuk di Ayutthaya che probabilmente arrivano dal Giappone, dalle inconfondibili linee curve in stile samurai, e con il muso alla Darth Vader: uno spettacolo per gli appassionati di Star Wars che non vedrete in nessun altro angolo del paese.
Per noi questa è la prima volta che riaffittiamo le bici dopo l'incidente capitato a nostro figlio in Vietnam, quando infilò il piede nei raggi e fu il panico. Ma l'ingegno si aguzza proprio da esperienze come quella e adesso ci viene naturale incastrare due pezzi di cartone tra la ruota e il portapacchi, in modo che un piedino non possa infilarcisi dentro. Facile no?!
Il giorno dopo iniziamo la visita alle rovine custodi del simbolo che da sempre ha richiamato la nostra curiosità verso questo posto: la testa del Buddha intrappolata tra le radici. Per vederla basta entrare al Wat Mahathat e seguire la folla.
Nessuno sa come la testa sia finita in questo intrico di radici secolari; forse a seguito di un terremoto o durante uno dei tanti saccheggi, dato il suo peso, può darsi che sia stata abbandonata semplicemente per terra e poi la natura abbia fatto il resto. Il wat risale al 1374 e venne letteralmente raso al suolo dai conquistatori birmani ma, il Tempio della Grande Reliquia è di una dimensione impressionante e, con un po' di immaginazione, le rovine rimaste possono farci immaginare il perimetro di quello che è stato un sito importantissimo durante il regno.
Passeggiando sotto il prang - tempio in stile kmer - e le statue di tanti Buddha senza testa si ha come l'impressione di essere isolati dal resto del mondo. E' come se fuori, appena oltre i canali, non ci fosse una città nuova e vivace come solo nel sud est asiatico sanno essere.
Non si può venire ad Ayutthaya e non visitare il Wat Phra Si Sanphet, uno dei più antichi risalente ai primi anni del regno. La particolarità del sito sono tre chedi, ovvero degli stupa buddhisti a forma di cono edificati per custodire oggetti sacri, che qui erano le ceneri di tre sovrani. C'era anche una statua di Buddha di 16 metri interamente ricoperta d'oro, poi fuso dai birmani.
Un tempo il sito veniva usato come cappella o per cerimonie riservate all'élite; oggi come set cinematografico molto apprezzato anche da produzioni straniere. Proseguiamo il giro senza una meta precisa anche perché le ore più calde della giornata sono invivibili per dei bambini, per cui una sosta dopo pranzo è necessaria.
Dopo esserci riposati un po' rimontiamo in sella e raggiungiamo il Wihan Phra Mongkhon Bophit, il tempio con la statua del Buddha di bronzo alta 17 metri, e con occhi di madreperla. Purtroppo è tardi e il palazzo - una ricostruzione di una sessantina d'anni fa - è chiuso. Non siamo venuti però fin qui invano; tutte le persone che a vario titolo, dal bigliettaio al venditore di souvenir, lavorano intorno al complesso, se ne vanno portandosi dietro i turisti, e pian piano i giardini davanti al palazzo si popolano di bambini che giocano e giovani intenti ad esercitarsi nelle arti marziali. A volte trovare chiuso può essere un'opportunità...
La sera, lungo l'ampio viale ai limiti della città vecchia, viene allestito un mercato dove è possibile mangiare e, se ce lo troverete anche voi, far giocare i bambini su un gonfiabile. Il modo per tenere il tempo dei bimbi impegnati a saltare è mettere loro un braccialetto colorato, per poi richiamare i colori via via che passa. Molto più carino del numero che invece ti appiccicano da noi!
Il terzo e ultimo giorno che trascorriamo in città lo dedichiamo alla visita del Wat Ratchaburana, un tempio fatto costruire da re Borommaracha nel 1424 proprio nel luogo dove i suoi due fratelli si combatterono a morte per la conquista del trono. Come dire? Tra i due litiganti il terzo gode... Entrando ci dà il benvenuto un enorme prang, eretto per commemorare la vittoria contro l'antica capitale del regno kmer. Le ricchezze depredate ai nemici, insieme ad altre create dagli artigiani locali del tempo, furono custodite per anni nella cripta sotterranea finché non venne scoperta in seguito a un furto.
Oggi ci abita un condominio di pipistrelli e il tanfo del guano mi ha riportato alla mente le grotte di Ellora e Ajanta visitate anni prima in India. Non posso scendere, proprio non ce la faccio a sentire quell'odore così pungente, che i bambini già non sopportano dalla superficie. Il sito non è tra i più maestosi ma vale comunque la pena salire sul prang e ammirare le rovine dall'alto. L'ombra offerta dagli alberi intorno è l'ideale per riposarsi un po'.
Ancora in bicicletta fino a incrociare alcuni elefanti che portano in giro i turisti su sfavillanti baldacchini, e raggiungiamo il Wat Chai Wattanaram, appena fuori dall'isola e risalente al 1630. Per secoli rimasto nascosto dalla giungla, il tempio adesso ripulito mostra un prang alto 35 metri che spunta oltre il canale, e il colpo d'occhio è molto suggestivo.
Ricaricati quanto basta, una lunga pedalata nella parte nuova ci regala improvvise finestre sul passato: tutta la città è puntellata da piccoli tesori e può capitare di svoltare l'angolo e trovarsi davanti resti dell'antica civiltà stretti tra palazzi e strade trafficate. Arriviamo fino all'imbarcadero per il Wat Phanam Choeng, che però quel giorno è deserto, o forse abbiamo sbagliato il posto...e chi lo sa!
Ormai stanchi morti anche per la pedalata extra che non è servita a nulla, riportiamo le bici al noleggio e, proprio quando pensi che ormai Ayutthaya non abbia nient'altro da offrirti, ecco che una musica si alza dal lato della strada e un gruppo di gente inizia a seguire intenta le mosse di due istruttori che danno il tempo da un palco. E' una lezione di ginnastica all'aperto che ci è già capitato di vedere più volte in Vietnam. Nemmeno il tempo di accorgersene che i bambini sono già in prima fila; in fondo dopo una giornata scarrozzati in bici loro ne hanno ancora di energia, loro...